Il cervello di una persona con diabete è esposto a rischi importanti?
Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di studi scientifici sta evidenziando una stretta correlazione tra alterazioni del metabolismo glucidico e disturbi cognitivi.
Un possibile collegamento fra le due condizioni era già stato rilevato circa 100 anni fa, quasi contemporaneamente alla scoperta dell’insulina, tramite dei test di memoria e attenzione, che avevano mostrato prestazioni cognitive inferiori del 15-20% da parte delle persone con diabete rispetto a quelle che non presentavano questa condizione.
Sintomi come nervosismo, irritabilità, fame, ansia, sudorazione e palpitazioni sono, inoltre, universalmente noti fra le persone con diabete ed altrettanto nota è l’attenzione particolare che ad essi va riservata, perché possono essere i primi segnali di un evento ipoglicemico: il cervello, infatti, utilizza il glucosio come carburante e l’ipoglicemia può, di conseguenza, determinare alterazioni più o meno gravi della funzionalità cerebrale.
Questo processo prevede l’assorbimento del glucosio, ottenuto dagli zuccheri introdotti attraverso l’alimentazione, nel tratto digerente e la sua immissione nella circolazione sanguigna; in questo modo, energia e nutrimento passano dal sangue al cervello.
L’American Diabetes Association riporta che, quando si verifica un episodio di ipoglicemia e non si interviene nell’immediato, si può incorrere in danni al cervello: questo proprio perché il glucosio è la sua principale fonte di energia.
Tra le conseguenze1 dell’ipoglicemia si possono quindi osservare, nei casi più gravi, deterioramento neurologico irreversibile, coma e morte cerebrale.
Una riduzione drastica dei livelli ematici di glucosio può mettere a serio rischio la salute della persona, determinando in prima istanza la perdita della capacità di attenzione, e successivamente convulsioni ed infine coma, il cui esito potrebbe essere fatale.
Per salvaguardare le funzioni cerebrali, l’organismo deve ricevere quantità di glucosio adeguate e costanti nel tempo: come possiamo fare in modo che questo avvenga? La prima raccomandazione è di seguire una dieta bilanciata, che includa i diversi gruppi di alimenti, nelle quantità raccomandate dal proprio Medico o Nutrizionista di fiducia.
L’ipoglicemia può essere determinata da diverse cause1. Una fra queste, può essere la stessa assunzione di farmaci per la terapia del diabete, come l’insulina o le sulfoniluree che, in dosi eccessive ed in relazione alla quantità di cibo consumato o all’omissione di uno o più dei pasti quotidiani, possono provocare una drastica riduzione del glucosio ematico.
Ci sono anche altri farmaci che possono generare eventi ipoglicemici, come la pentamidina, un antibiotico usato per trattare gravi infezioni. Anche il consumo eccessivo di alcol a stomaco vuoto può portare ad ipoglicemia, in seguito all’esaurimento dei carboidrati immagazzinati nel fegato.
Con l’invecchiamento, ogni individuo può andare incontro alla perdita più o meno parziale delle proprie capacità cognitive come la prontezza di memoria, la flessibilità – intesa come la capacità di adattarsi ai cambiamenti nell’ambito dei diversi contesti – e può sviluppare delle difficoltà nell’orientamento temporale e/o spaziale.
Quando si tratta di invecchiamento fisiologico o di una forma definita “deterioramento cognitivo lieve”, è possibile tuttavia rimanere autosufficienti.
Quando invece queste manifestazioni dell’invecchiamento sono più marcate2, si può incorrere in una problematica più seria, definita “demenza”.
La demenza può avere un’origine vascolare oppure può essere determinata da una degenerazione del tessuto cerebrale, come nel morbo di Alzheimer, che rappresenta di gran lunga la forma più comune di demenza (circa il 70% dei casi riscontrati).
Il diabete, in particolare quello di tipo 2, sembrerebbe strettamente correlato alla comparsa del deterioramento cognitivo lieve e, ad oggi, costituirebbe un importante fattore di rischio per lo sviluppo di demenza vascolare, oltre che per la malattia di Alzheimer, stando ad alcuni dei più recenti studi2.
Quando si convive con il diabete per diversi anni, e soprattutto nel caso in cui si abbia uno scarso controllo di questa condizione, si possono osservare sintomi di sofferenza diabete-correlata a scapito di diversi organi, tra cui anche il cervello.
Diabete e morbo di Alzheimer sono innanzitutto delle condizioni molto frequenti nella popolazione con più di 65 anni; queste sembrerebbero essere correlate tra loro, dal momento che in entrambe si manifesta insulino-resistenza2: essa consiste in una risposta inadeguata all’insulina da parte del tessuto muscolare e di quello adiposo, nelle cui cellule in condizioni normali avviene l’accumulo del glucosio prelevato dal circolo sanguigno.
L’insulino-resistenza è quindi una condizione alla base e tipica del diabete di tipo 2, caratterizzata da un’efficacia scarsa o assente a livello periferico da parte dell’insulina.
L’insulina, però, sembra giocare un ruolo fondamentale anche a livello cerebrale2: anche in questo tessuto sono infatti normalmente presenti numerosi recettori per questo ormone.
Caratteristica della malattia di Alzheimer è, invece, la presenza a livello cerebrale di placche di amiloide, un materiale proteico insolubile che si deposita negli spazi extracellulari ed accumulandosi nei neuroni ostacola il funzionamento di intere aree del cervello.
Recentemente, si è osservato che l’enzima deputato alla degradazione della proteina amiloide è lo stesso che degrada l’insulina; nel diabete di tipo 2, la condizione di insulino-resistenza potrebbe “sottrarre” l’enzima alla proteina amiloide e questa, non venendo degradata, potrebbe di conseguenza accumularsi nei neuroni, generando le placche tipiche della demenza di Alzheimer. Per approfondire e chiarire i dettagli di questo processo saranno necessari studi futuri.
Un buon controllo glicemico può contribuire a prevenire sia condizioni che predispongono al rischio cardiovascolare (ipercolesterolemia, pressione alta, fumo, obesità, ecc.), sia la comparsa e la progressione della demenza.
Ma cosa significa “avere un buon controllo glicemico”?
Il valore dell’emoglobina glicata è un parametro che si può rilevare con un semplice prelievo di sangue e che offre un’indicazione relativa al valore medio della glicemia nei tre mesi precedenti la misurazione, fornendo in questo modo utili informazioni sullo stato del controllo glicemico.
Un valore elevato di emoglobina glicata indica uno scarso controllo del diabete, soprattutto se associato a valori glicemici costantemente superiori alla norma.
Tuttavia, questo parametro non deve essere interpretato come un valore assoluto né deve essere considerato singolarmente, ma è da contestualizzare di volta in volta nelle diverse situazioni; una persona potrebbe avere, infatti, buoni valori di emoglobina glicata anche in caso di alternanza di ipoglicemie e iperglicemie4: le ampie oscillazioni della glicemia, sia verso elevati che ridotti livelli di glucosio nel sangue, si sono dimostrate tanto dannose quanto una costante iperglicemia.
Un’elevata variabilità glicemica quotidiana è solitamente correlata alla comparsa di deficit cognitivi, in quanto le oscillazioni delle concentrazioni plasmatiche di glucosio favoriscono la formazione di specie reattive dell’ossigeno, responsabili dei danni vascolari4.
Parallelamente a questo, l’instaurarsi di uno stato ipoglicemico costante o prolungato nel tempo può avere effetti deleteri sul corretto funzionamento cerebrale, dal momento che il cervello dipende totalmente dal glucosio circolante, in quanto i neuroni utilizzano glucosio come unica fonte di energia e, soprattutto, non sono in grado di immagazzinare questo zucchero fondamentale1. Quando i valori glicemici si riducono drasticamente, il cervello inizia a non essere più in grado di svolgere adeguatamente le proprie funzioni.
Come una severa e prolungata ipoglicemia, se non corretta, può determinare disturbi cerebrali irreversibili, così anche episodi ipoglicemici lievi possono causare deficit cognitivi permanenti1.
Per prevenire quindi la comparsa di alterazioni alla propria capacità cognitiva e mentale è importante non solo tenere d’occhio l’emoglobina glicata, che andrebbe mantenuta al di sotto del 6,4%, come indicato dagli “Standard Italiani per la cura del diabete mellito 2018”, documento firmato dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e dalla Società Italiana di Diabetologia (SID), ma è anche fondamentale ottimizzare la propria glicemia, al fine di ottenere un equilibrio costante di questo parametro e riscontrare il minor numero possibile di sbalzi glicemici.
Chi ha il diabete, in conclusione, per salvaguardare le sue funzioni cognitive e cerebrali nel corso del tempo, dovrebbe impegnarsi a:
Anche in presenza di diabete, bastano quindi poche semplici accortezze per supportare il benessere del proprio cervello.
1Hypoglycemia, functional brain failure, and brain death
2Brain Insulin Resistance at the crossroads of metabolic and cognitive disorders in humans
3Inhibition of Insulin-Degrading Enzyme Does Not Increase Islet Amyloid Deposition in Vitro
4Glycemic Variability and Oxidative Stress: A Link between Diabetes and Cardiovascular Disease?
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